
Ieri abbiamo dovuto apprendere la notizia della morte di Ennio Morricone,
di cui sono da sempre un grande ammiratore, anche per la passione per l’avventura che sin dalla giovinezza mi caratterizza, e le sue colonne sonore hanno sorretto sfide e sogni di molti di noi. Ho avuto la fortuna di esser da tempo in relazione con la famiglia, la sorella Maria che frequenta la nostra sede nella Villa del Palco, e le due meravigliose nipoti Claudia e Livia che sono nostre volontarie. Tanti sono rimasti colpiti dalla dolcezza del suo necrologio, ma soprattutto dal fatto che lo abbia voluto preparare in prima persona. Era un grande personaggio, anche umanamente, ed era pronto a morire. Ed era pronto a mollare gli ormeggi poiché ha tanto amato, e di questo è impregnato il suo necrologio.
Albert Camus, tornato alla ribalta in questi tempi di “peste”, diceva che «un modo facile per conoscere una civiltà è scoprire come vi si lavora, come si ama e come si muore», lo possiamo applicare alla persona di Ennio. E ci può insegnare molto sul tema vita e morte così importante in questi tempi segnati dal Covid-19.
Qualcuno potrebbe domandarsi: come mai esistono persone che continuano a porsi domande insistenti sul senso della vita e quindi della morte? Non sarebbe più sano vivere senza porsi domande, e magari anche rimandando i quesiti fondamentali a cui forse non c’è nemmeno risposta?
Sebbene il dilemma sia atavico resta il fatto che la provocazione degli antichi saggi ha attraversato i secoli per tenere deste le coscienze. Tuttavia oggi troppo rari sono gli spiriti che credono ancora necessario il richiamo della morte per poter vivere appieno. E troppi invece coloro che adottano l’evitamento come strategia, ignari del fatto che tutti gli studi e l’esperienza sul campo confermano che otterranno l’opposto di quello che desiderano. Il rifiuto di affrontare la propria morte non garantisce che si viva meglio, lascia solo convivere con dei fantasmi. Cosa ci ha insegnato Ennio Morricone con la sua morte? Faccio rispondere ancora a Camus: «Chi non dà nulla non ha nulla. La più grande sventura non è non essere amato ma non amare». E l’amore con cui è vissuto impregna il suo necrologio.
Guidalberto Bormolini, presidente di TuttoèVita Onlus